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Dalla Magna Graecia alla dieta mediterranea. Parte II

  • Immagine del redattore: Biosfiera Associazione
    Biosfiera Associazione
  • 26 gen 2017
  • Tempo di lettura: 3 min


Partiamo dalla base: i cereali, fonte di fibra e carboidrati complessi. Fonti storiche e reperti archeologici giunti a noi indicano come il grano e molti cereali si coltivavano vaste piane delle colonie greche di: Metaponto, Locri, Medma (Rosarno) e Hipponion (Vibo Valentia); i legumi, ricchi di proteine (le proteine nobili) e di carboidrati complessi : il consumo di fave compare in tavolette bronzee rinvenute a Locri; la verdura, ricca di vitamine, sali minerali, carboidrati complessi, fibra: Dalle aree sacre di Sibari, Locri, Medma ed Hipponion arrivava il cavolo, il cetriolo, aglio, cipolla, ecc; la frutta, principessa di dolcezza ricca di vitamine e sali minerali: la vite e l’uva erano sacre a Dioniso-Bacco, il melograno, simbolo dell’abbondanza e della prosperità sacro alla dea Era, pere e mele (sacra alla dea Venere) sono sicuramente i frutti maggiormente attestati sulle mense del Bruzio antico e poi anche noci, castagne, mandorle e fichi su tutto il territorio calabrese; l’oro della dieta mediterranea: l’olio extravergine d’oliva ricco di Acidi grassi mono e polinsaturi, ω3, vitamine antiossidanti (tocoferoli/vit.E + Β-carotene o carotenoidi in genere) era la più importante produzione della piana di Sibari e della Locride tant'è che i greci importarono l’olio al momento della colonizzazione e venne poi continuamente distribuito in tutto il dominio. Il re dei banchetti, il vino Ricco antiossidanti vitaminici (vit.C, E e carotenoidi), e polifenoli: nella Calabria greca le fonti segnalano la presenza di numerosi vini pregiati:

  • l’amineo, prodotto nella regione degli Aminei, nell’impero di Sibari e nominata da Plinio;

  • il byblinos, il thurino da Thurii,

  • il lagaritano, da Lagaria;

  • il reghinon, nel territorio di Reghion (attuale Reggio Calabria);

  • il busentino da Pissunte.

Ottimo vino si produceva anche nei territori di Cosenza e Temesa.

La carne ricca di proteine: il consumo di ovi-caprini, legati alle pratiche di pastorizia e transumanza e il culto dei suini era associato a numerose divinità del Pantheon greco, soprattutto femminili (Demetra, Kore, Hera, ecc.): simboli di fecondità. Il maiale calabrese doveva essere in genere magro, anzi magrissimo, perché pascolava sulle montagne insieme con pecore, capre e agnelli.

Il pesce, fonte proteica e di acidi grassi essenziali ω3 e ω6: La pesca del pesce spada e del tonno dell’area di Hipponion era il migliore di tutto il Mediterraneo e il pesce azzurro veniva consumato frequentemente non solo come pietanza d’eccellenza dei banchetti, ma quasi quotidianamente.

I nostri antenati sapevano bene di cosa nutrirsi. Non per altro le cause di morte dell’epoca, anche se le aspettative di vita erano molto più basse delle altre, non erano sicuramente riconducibili alle malattie moderne causate dagli eccessi alimentari, prima fra tutte l’obesità che è la principale piaga della civiltà moderna. Avere quindi a disposizione di tutti uno strumento del tutto naturale, a chilometro zero, a basso impatto ambientale e che incentiva le coltivazioni non intensive questi non può che non essere la dieta mediterranea. Non esiste integrazione alcuna se si segue un corretto stile di vita e alimentare. La natura ci fornisce tutto quello di cui il nostro metabolismo ha bisogno. Preservare una tale ricchezza vuol dire salvaguardare il territorio, l’ambiente, le economie locali, e soprattutto la salute di tutti. A partire da quella dei bambini. I nostri, quelli italiani sono i più obesi d’Europa. E questo dovrebbe farci riflettere sulla rotta che il nostro paese ha intrapreso. La vita è un lungo viaggio che va affrontato con un mezzo all'avanguardia e ben rodato: il nostro corpo. Abbiamone cura, perché nessuna rottamazione ci darà la possibilità di acquistarne uno nuovo. Buona vita a tutti…


 
 
 

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